Doping, Siutsou: “Due giorni e mezzo per portare il mio campione in laboratorio. Perché?”
Kanstantin Siutsou è ormai escluso dal mondo del ciclismo professionistico. L’ex corridore della Bahrain-Merida è stato sospeso dalla squadra dopo essere stato fermato dall’UCI per EPO nel mese di settembre. Le analisi di un test fuori dalle corse, effettuate il 31 luglio, avevano infatti evidenziato risultati anomali nel controllo della Fondazione Antidoping del Ciclismo. Il bielorusso non si è mai dato pace da quel momento, dichiarando a più riprese la sua innocenza. A 37 anni compiuti, per lui sarà comunque difficile portare avanti il processo per poi trovare una squadra in cui ripartire.
Il corridore di Gomel ha rilasciato una lunga intervista a Sport.tut in cui ha raccontato le sue perplessità sulla vicenda: “Per prima cosa mi hanno detto che il mio sangue non poteva essere controllato per un problema di coagulazione, sebbene andasse tutto bene con il controllo. Mi è successo per la prima volta in 14 anni di carriera. Un campione di sangue è molto importante per dare una risposta precisa sull’uso di sostanze proibite. In secondo luogo, una provetta per le urine è stata consegnata al laboratorio dopo due giorni e mezzo. Come possono volerci più di 30 ore per percorrere 200 chilometri? Volevo scoprirlo, ma si sono rifiutati di darmi i contatti con l’ufficiale del doping che ha effettuato il controllo. Formalmente, un trasferimento così lungo non è considerato una violazione delle regole, ma una volta mi hanno preso un campione negli Emirati Arabi Uniti, ed è stato consegnato in 12 ore…”
I sospetti di Siutsou proseguono anche su altri punti: “Nel sistema ADAMS le mie informazioni sono apparse solo dopo quattro settimane. È molto tempo, di solito accade immediatamente. Inoltre nel mio passaporto biologico non ci sono indicatori anormali, caratteristici delle persone che usano il doping. Poi il mio campione è stato raccolto in vecchie provette, che la WADA non ha usato per un anno e mezzo. È stato dimostrato che a temperature molto basse queste provette possono essere aperte senza danni. Quindi mi domando: cosa è successo al mio campione per due giorni e mezzo? E perché ci è voluto così tanto tempo perché l’ufficiale del doping percorresse 200 chilometri? Infine un piccolo dettaglio: contrariamente alle regole della WADA, solo un agente antidoping è venuto da me invece di due. Potrei rifiutare del tutto dall’analisi. Se sapessi di avere qualcosa di proibito nel mio corpo, non approfitterei davvero di questa opportunità?”.
Infine il bielorusso ha spiegato le motivazioni che lo rendono restio a intraprendere un’azione legale: “All’inizio avevo davvero il desiderio di lottare fino alla fine. Ho visitato laboratori, ho incontrato esperti a Mosca, ho parlato con avvocati. Ma poi ho iniziato a capire quanto mi sarebbe costato. È incredibilmente oneroso e il procedimento va avanti per anni. Ne compirò presto 37. Quale squadra avrà bisogno di me tra pochi anni? Più comunicavo con persone che cercavano di lottare per i loro diritti, più chiaramente capivo l’insensatezza di questa impresa. Il marciatore italiano Alex Schwazer ha trascorso anni in battaglie legali e si è ritrovato senza niente. Ero motivato solo dal desiderio di dimostrare pubblicamente la mia innocenza, ma è così importante? Le persone più importanti per me mi hanno supportato e lo fanno ancora. Mi credono, non hanno bisogno che sia dimostrato nulla”.
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